"Per stasera salto, grazie! Sono a dieta."
Chi almeno una volta nella vita non ha pronunciato la frase magica davanti ad una portata, diviso tra l’imbarazzo per lo sguardo giudicante dei commensali ed un sottile senso di soddisfazione, quasi che confermare lo status di “donna/uomo a dieta” ci facesse già sentire meglio: più sani, più magri, più attraenti agli occhi degli altri ma soprattutto di noi stessi?
Essere a dieta significa aver iniziato un percorso, aver promosso un cambiamento, aver fatto quel piccolo grande passo che divide l’essere statici e passivi dall’essere dinamici e volitivi.
Fin qui tutto bene, la volontà di prendersi cura di sè è sempre positiva; i nuovi progetti ci portano ad attingere a risorse mentali e fisiche che si erano spente, come un tizzone che ritrova nella volontà di iniziare, quel vento di cui ha bisogno per alimentare la fiamma viva…
Eppure la verità è che “mettersi a dieta” fa male!!!
Mi correggo, mettersi a dieta fa male se consideriamo l’accezione che il termine ha assunto nella nostra società.
Nell’ antica medicina greca il termine “dieta” raccoglieva un insieme di norme di vita inerenti alla nutrizione, l’attività fisica e il riposo.
In ambito clinico quando parliamo di dieta ci riferiamo ad una prescrizione alimentare specifica e ben definita in termini qualitativi e quantitativi, che abbia lo scopo di curare o prevenirne eventuali disturbi di salute.
Purtroppo però la vita di tutti i giorni ci espone ad un bombardamento mediatico tale da riuscire a distorcere anche i concetti apparentemente più semplici.
Per questo motivo sono certo che sia tu che io, quando sentiamo parlare di “dieta”, finiamo inesorabilmente per domandarci “QUALE?”
Dieta Zona, Dieta Atkins, Dieta Dissociata, Dieta metabolica, Dieta Dukan, Cronodieta, Dieta dei Gruppi Sanguigni, Dieta Monoalimento…e potremmo continuare per svariati minuti snocciolando una serie di programmi miracolosi e quasi perfetti…dico quasi perchè la dieta perfetta, come sempre, ci verrà proposta domani, pubblicizzata da questo o quell’altro divo di Hollywood che dirà di aver perso tutti quei chili o aver messo tutti quei muscoli grazie alla nuova strategia che dopo pochi mesi scopriremo essere una volta ancora “quasi perfetta” aspettando il giorno dopo per un nuovo miracolo in cui credere.
Ognuna di queste diete risulta efficace e salutare solo se pensiamo che l’essere umano sia standardizzabile, se siamo disposti a ridurre ai minimi termini la molteplicità di fattori che caratterizzano e rendono unico ognuno di noi.
Seguire una “dieta standard” è un po’ come acquistare un abito standard, dovendo adattare la lunghezza delle nostre braccia alla lunghezza delle maniche.
Quello che intendo dire è che la generalizzazione mal si sposa con la complessità biologica dell’essere umano mentre, per una sorta di trabocchetto della mente, esercita grande fascino sulla parte pigra del nostro cervello.
Infondo abbiamo una vita talmente frettolosa da aver bisogno di soluzioni accessibili, rapide, meglio se preconfezionate.
Accade quindi che affidarsi ad un tipo di dieta ci faccia sentire parte di un gruppo, ci regali la sensazione di appartenere ad una bandiera, di percorrere una strada già battuta e soprattutto ci deresponsabilizzi in caso di fallimento, perchè faremo sempre in tempo a salire sul prossimo treno…infondo la dieta perfetta arriverà domani.
Volendo essere pragmatici, giusto per coccolare la parte pigra del nostro cervello di cui parlavamo, potremmo dire ad esempio che la dieta Zona prende in prestito alcuni principi assolutamente interessanti e validi se contestualizzati, i quali diventano però controproducenti quando assunti come dogma: ridurre la percentuale complessiva di carboidrati favorendo un maggior consumo di proteine può avere una indiscutibile funzione di prevenzione del rischio cardiovascolare, soprattutto in soggetti insulinoresistenti o diabetici, tuttavia tali percentuali standard (40% carboidrati, 30% proteine, 30% lipidi) risultano controindicate in un soggetto con eventuale alterazione della funzionalità renale. Lo stesso discorso potrebbe estendersi alla Dieta Metabolica (la quale prevede un’importante riduzione dell’apporto glucidico a favore di proteine e grassi) o alla Dieta dei Gr. Sanguigni, che tende a “catalogarci” banalizzando, a mio avviso, una serie di elementi fondamentali che solo un’attenta analisi clinica permette di evidenziare, quantificare e mettere in relazione.
Se pensiamo poi alla dieta monoalimento, non possiamo tralasciare il pericolo di trovarci esposti a gravi carenze nutrizionali.
Ad una prima lettura i concetti espressi possono sembrare addirittura banali e scontati, eppure mentre a nessuno verrebbe in mente di allungare le proprie braccia per indossare una giacca all’ ultimo grido, migliaia di persone ogni giorno scelgano di forzare il proprio organismo soggiogandolo ai dettami di protocolli dietetici imposti dalla “moda del momento”.
Sia ben chiaro che non è questione di morale, ognuno segua i propri gusti fin tanto che si parla di tendenze, in questo caso però la priorità non è (e non deve essere) l’immagine bensì la salute.
Perdere o prendere chili e ricalcare stereotipi proposti dalle copertine dei giornali sono obiettivi omologati ed omologanti che seducono la nostra volontà di sentirci accettati ma ci privano dell’unico vero diritto/dovere che abbiamo nei confronti di noi stessi e cioè iniziare a conoscerci nella nostra complessa unicità.
Solo in questo modo lo stile di vita ed i suoi elementi costitutivi (nutrizione in primis) diventano strumenti che usiamo per la ricerca di un reale benessere psico-fisico.
In tal senso si sviluppa il “percorso” ed è secondo tale approccio che il medico guida il paziente a costruire il proprio, aiutandolo a cogliere ogni sfumatura ed ogni messaggio che il corpo trasmette: il concetto di benessere può essere stabile solo se ricercato al nostro interno e con un’analisi profonda ed attenta della fisiologia e dei messaggi che il nostro organismo trasmette.
Ecco allora che il percorso nutrizionale assume un fascino quasi alchemico, in cui ci liberiamo dal dogmatismo che ci vede oggetto di mode passeggere e iniziando invece a comprendere e comprenderci, percependo le innumerevoli sfumature che ci rendono diversi , unici e capaci di regalarci TUTTA L’IMPORTANZA CHE MERITIAMO.